Balestrini racconta, attraverso gli occhi di un ragazzo, la storia-saga dell’ascesa, nel casertano, del clan dei Casalesi che raggiunge l’apice con Antonio Bardellino. Nella periferia dei paesi coinvolti, i protagonisti, quasi tutti analfabeti, costruiscono le loro ville gigantesche e fanno il verso ai signori. Presto la lotta fra i vari boss sfocia in una sanguinosa faida interna che porta all’arresto, nel 1998, di Francesco Schiavone detto “Sandokan”, per la vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi.
Per quanto riguarda i contenuti, è un romanzo-reportage gelido ed agghiacciante che ci svela il retroterra di sottosviluppo e disperazione di cui si nutre la camorra. È l’attraversamento di quelle terre dove lo stato non ha mai attecchito ed i clan controllano ogni gesto e ogni sguardo. L’organizzazione decide la tua vita, dalla gerarchia che vige fra i bambini sul pulmino della scuola alla vita più intima: due ragazzi non possono appartarsi in macchina, se li scoprono li ammazzano di botte, il boss non vuole. La parabola del clan sfocia in un bagno di sangue e nell’arresto di “Sandokan”, ma la Camorra non finisce, cambia soltanto capo, perché la gente sembra non capire – cioè l’errore grande di chi si occupa di questi fenomeni è che non si rende conto di quello che è il vero problema è che non è soltanto questione di un gruppo di criminali di assassini di pazzi di persone che vogliono diventare ricchissimi nel più breve tempo possibile è proprio una questione di mentalità di qui – ed ancora – quando nasci non hai nessun diritto nessuna garanzia non hai niente che ne so in un altro paese qualsiasi ci sono servizi più o meno decenti quasi per tutti scuole più o meno pulite mezzi pubblici servizi comunali che funzionano più o meno bene ma almeno c’è l’idea che possano esistere invece qui da noi no qui da noi non c’è nulla ma proprio nulla non c’è un cazzo –.
Si è scritto molto sulla malavita organizzata, si sono girati decine di film ma l’originalità e la forza espressiva che caratterizzano questo romanzo, sono anche il frutto di quella ricerca formale e stilistica che caratterizza la prosa di Balestrini. L’autore utilizza un linguaggio innovativo e personale che perde la punteggiatura e si fa percussivo, modellandosi sulle strutture del parlato, si affida alle ripetizioni e alla voce in presa diretta del protagonista. La sua scrittura non è mai vuoto formalismo, bastano poche pagine per trovare il ritmo e venire catturati dal racconto. Balestrini infatti è uno scrittore epico, mai pacchiano, autore di saghe moderne come la trilogia “La grande rivolta” (Vogliamo tutto, Gli invisibili, L’editore), capace di descrivere la storia di questo paese con grande lucidità. Proprio per questo motivo è un autore scomodo, spesso accolto con un certo imbarazzo, ignorato o, peggio, costretto a forza su un piedistallo minore, nel limbo dei “grandi autori”.