15 febbraio 2009

GIONA, Il libro di Giona, qualsiasi edizione a qualsiasi costo

Finalmente un bel racconto di viaggio, per il corpo del bucaniere, nonché, ovviamente, per mille baleni e altrettante balene. Il viaggio e il suo infinito campo semantico![1] Ricerca, cura, avventura letteraria, avventura militare, turismo. Sì, ma il vero viaggio?
Ismaele, sì, perché l'unico viaggiatore è il fuggiasco, foss'anche quello del finesettimana, Ismaele quando si imbarca sul Pequod si sente fare questa imbarazzante domanda dal suo datore di lavoro, il buffo Peleg: "perché ti vuoi imbarcare?" Ismaele, di tutto cuore, gli risponde che vuole vedere il mondo e, allora, quel vecchio demonio di un presbiteriano di un Peleg gli dice di andare a vedere oltre la prua cosa vede. Ismaele ci va e vede il mare, il mare, niente altro che tutto quel mare, goccia su goccia. Una visione lenta, ché il Viaggiatore trova nella pazienza la misura della propria anima. Vede il mare. Il nulla liquido.
Si viaggia per il nulla liquido e, detto questo, passiamo al vivo dell'argomento.

Giona (in ebraico Ionah, cioè colomba. Spirito libero e celestiale o spirito barbaro e nomade?) è il quinto dei Profeti minori, sia nel testo masoretico che nella Volgata. Nei LXX è il sesto.
Il libro di un profeta minore, dunque.
Prima considerazione a latere sui profondi motivi che rendono urgenti questo breve articolo: ci sono scrittori che vivono in uno stato di autidentificazione con il grande ("la letteratura italiana inizia con i primi versi della Commedia e finisci tutta co' mia" D'Annunzio) e altri che amano fingersi dei minori per diventarlo davvero(come il Calvino Italo). Scrittori minori. Profeti minori. Una passione a prescindere, insomma.
Giona, poi, era un profeta?
Questo piccolo libro si presenta più sotto l'aspetto di un racconto che di una profezia. Giona, primo dei Narratori minori?
(appunti per una piega massonicocculto dell'articolo: narratore come profeta, profeta come narratore, profezia come frottolla e frottola come rivelazione. La consistenza onirica ed emotiva della Verità. Buttarla in caciara sul reale ruolo del narratore in termini epocali e apocalittici e, forti di tali argomenti, presentarsi a eventuale mecenate con sguardo invasato. Ottime possibilità di successo).
Che tipo di letteratura è Giona, allora? Un racconto di evasione? Midhrash (fictio didactica)?
Personalmente non riteniamo (uso il plurale per sottolineare la fede in quanto dico denunciando l'adesione ad esso da parte di tutte le mie personalità), non riteniamo che esista una letteratura di evasione. E neanche l'evasione. Perfino chi evade, poniamo da un carcere, ha più per fine un esercizio dell'intelletto e una visione dell'anima che l'evasione in sé. Inoltre trovo difficile che un ebreo sia mosso a parlare da altro scopo che non sia morale. Perfino se si mette a raccontare una barzelletta.
Per esempio (barzelletta ebrea contro gli ebrei):
Un padre dice al figlio, "Sali sulla scala e, quando te lo dico io, buttati di schiena."
" Ma io ho paura, papà", gli risponde il figlio.
"Abbi fede. Io ti prenderò"
Il figlio si butta ed il padre lo afferra. Il gioco va avanti un po'. Dal secondo piolo. Dal terzo piolo. Dal quarto. Il figlio sta lì, sale i pioli e si butta. Da tutto questo gioco impara che, a parte che il padre è un faceto, egli è anche un tipo affidabile. Arriviamo al nono piolo. Il ragazzo si butta. Il padre si scosta e non lo afferra. Il giovane è tutto rotto e comincia a piagnucolare.
" Ma perché non mi hai afferrato?" Urla al padre.
" Così impari a fidarti di un ebreo!" [2]
Forse non arriva subito, ma qui, l'ammaestramento antisemita è addirittura un tentativo di criptare un insegnamento metafisico e psichico che, tra l'altro, ha la sua fonte nel libro stesso di Giona.
Seconda considerazione, meno a latere, sui motivi che supportano e giustificano questo articolo. Il ruolo dei minori come fonte.
Il Minore è forse un generoso dissipatore. Trova la storia esatta. Quella che esattamente è da raccontare. La butta giù come gli viene in tre paginette (come nel caso del nostro) e poi lascia che siano altri a scriverla. il Minore è il grande soggettista. Giona è il soggettista di questa barzelletta. Di Moby Dick, della Commedia e dell'Odissea, di Pinocchio e, in generale, di tutta quella letteratura che si pone a metà strada tra la psichiatrica e la turistica.
Il turismo come viaggio, il viaggio come ricerca, la ricerca come tensione al ricongiungimento (Iside e Osiride). Un azione, in sé, al di là della sua soddisfazione, terapeutica. La terapia come atto cosciente di viaggio[3]. Il problema che entrambe le azioni mettono in ballo, in termini coincidenti di patologia e soluzione della patologia, è lo stesso: l'inquietudine.
Pier Paolo Di Mino

[1] Il punto esclamativo a fine asserzione è un fossile grafico dello stato di rapimento romantico in cui ho concepito questo pensiero.

[2] Traduco così dalla versione coretica del Beughilker (Basilea, 1765). C.Bubber, in "Portico D'Ottavia" (tr. di M. Bosè, Simiakòs ed., Roma), riporta la versione: "Ma li mejo mortacci tua e di chi non te ce manda"; "così te 'mpari"
[3] Ipotesi terapeutica: eliminare quella feroce distorsione prospettica che è l'analisi del profondo come scandaglio degli intestini nella psicoterapia, e ridefinire il viaggio come prassi immaginale cosciente. In pratica ridefinire il ruolo del terapeuta in tour operetor. Volendo le due parole si assomigliano. Lascio a qualche filologo il compito di dimostrarne la parentela.